Yahoo Maps chiude. Progresso o bandiera bianca?

Dopo otto anni di attività, Yahoo chiude il suo servizio di mappe.
Oltre alla funzione di localizzazione, l’azienda di Sunnyvale progetta di eliminare anche Pipes, web app che permette di aggregare contenuti tramite feed RSS e altri servizi minori.
L’annuncio è stato dato da Amotz Maimon in un blog post, dove in cui il Chief Architect afferma:
“Abbiamo preso questa decisione per allineare meglio le risorse alle priorità di Yahoo rispetto all’evoluzione del nostro business da quando abbiamo lanciato Yahoo Maps, otto anni fa”.
Quella che però viene dichiarata come una targettizzazione della mission aziendale, dopo un’attenta analisi della recente storia di Yahoo e dello scenario in cui si pone sul mercato, potrebbe rivelarsi una piccola battuta d’arresto da parte del colosso californiano.
Procediamo con ordine.
La decisione di chiudere Yahoo Maps potrebbe essere dovuta al fatto che la Chief Officer, Marissa Mayer, da tempo stia ricevendo delle pressioni da parte dell’investitore Starboard Value, che aveva criticato la recente storia di acquisizioni di Yahoo e gli investimenti in nuove aree.
Jeffrey Smith, Chief Executive e fondatore della Starboard, aveva pubblicamente dichiarato indispensabile un taglio dei costi extra e dei servizi ritenuti non inerenti alle nuove linee di condotta nei campi della ricerca, della comunicazione e dei contenuti digitali, con l’obiettivo di tornare a focalizzarsi sulla core mission di Yahoo e di sopravvivere nel sempre più concorrenziale mercato dell’Internet advertising.
Dalla fine del 2014 Yahoo aveva quindi firmato un contratto con la società di consulenza strategica McKinsey con l’obiettivo di rendere più chiaro, efficiente e competitivo il business dell’azienda, che nell’aprile 2015, aveva dichiarato un crollo degli utili di oltre il 90%, ridotti a 21 milioni di dollari rispetto ai 310 milioni del 2014.
La scelta di chiudere Yahoo Maps sembra essere dunque una necessità forzata: è stato reputato inutile destinare ulteriori risorse a un servizio con una concorrenza spietata come quello del digital mapping.
Solamente Google Maps, infatti, rappresenta il 54% degli accessi mondiali su smartphone ed è il leader nel settore della geolocalizzazione, mentre Apple continua a incrementare il suo servizio di mapping con nuove funzionalità, come l’implementazione di dati sui trasporti pubblici nella sua app nativa, attiva a partire dall’update iOS 9  e presentata alla Apple Worldwide Developers Conference.
Ma siamo sicuri che precludersi il mercato della digital mapping sia una scelta azzeccata, se l’obiettivo è quello di focalizzarsi sul mercato dell’internet advertising?
Yahoo utilizzerà ancora Yahoo Maps ma ovviamente non curandosi di renderlo maggiormente competitivo rimarrà indietro rispetto ad altre realtà, come ad esempio Pinterest, che qualche mese fa ha lanciato i Place Pins. Questo avvalendosi della tecnologia Foursquare ha già raggiunto i 50 milioni di utenti e ben 6 miliardi di check-in, rappresentando attualmente la più grande opportunità di online business degli ultimi 10 anni.
Lo stesso Facebook ha scelto di intraprendere una rotta completamente contraria a quella di Yahoo, credendo nelle opportunità della geolocalizzazione, chiudendo la collaborazione con Microsoft per le mappe Bing e scegliendo di realizzare un proprio servizio mapping per rafforzare le ricerche nella sua Graph Search.
In conclusione, quello che secondo Yahoo è una scelta votata al progresso, oltre a rischiare di rendere insoddisfatti molti utenti affezionati, rischia di rivelarsi un’arma a doppio taglio.
In uno scenario sempre più competitivo e ricco di nuove opportunità di business, Yahoo sembrerebbe stanziare in un’ottica ormai sorpassata forse legato al ricordo di un passato costellato da grandi successi che oggi non trova più spazio in un mercato sempre più competitivo ed in fermento.
In questo mondo la vera differenza la fa chi si evolve e adatta la propria vision al mercato e alle richieste, mettendo da parte i vecchi schemi e aprendo la propria mente alla trasformazione digitale.
Valeria Sebastiani