Ha ancora senso parlare di e-Commerce?

La mia è ovviamente una provocazione ma alla base c’è un ragionamento che di provocatorio ha ben poco. Provate a seguirlo fino alla fine e poi fatemi sapere che ne pensate.
 
Mi è capitato più volte di parlare con imprenditori che, dopo aver avviato il proprio progetto di e-Commerce, si dicevano delusi dai risultati ottenuti. Andando ad analizzare i dati veniva poi fuori che il fatturato proveniente dall’e-Commerce costituiva (magari a pochi mesi dal lancio) anche il 4-5% del totale dell’azienda (NB = tutte le statistiche e le ricerche conosciute al momento dicono che il 6% è media nazionale!). Alla domanda “E ti pare poco?” la risposta era sempre la stessa: “Eh sì! Mi aspettavo almeno 10 volte tanto!”.
 
Il problema alla base di questa che io definisco assurdità è che se si guarda all’e-Commerce come canale (digitale) di distribuzione e lo si confronta con altri canali di distribuzione, l’immagine che ne verrà fuori sarà sempre quella del “fratello minore” o, passatemi il termine, del “figlio scemo”.
 
Dico spesso (e l’ho detto anche all’Open Day di DoLab a settembre) che, almeno nella mia ottica, il Digital avrà vinto quando si smetterà di parlare di Digital, quando si smetterà di guardare al Digital come a qualcosa di separato, quando le aziende non avranno più bisogno di una figura come la mia che si occupi, appunto, di Digital.
 
Contemporaneamente, e per gli stessi motivi, vado dicendo già da qualche anno che la “e” di e-Commerce non ha più senso, se mai ne ha avuto, e che, anche se le aziende sono ancora organizzate per “canali”, il consumatore non lo è più già da un pezzo.
 
Anche termini come “multicanalità”, “omnicanalità” etc, pur essendo ancora molto abusati in convegni, paper e libri, sono sulla via della pensione.
 
Una sola parola ha senso oggi e su quella ci dobbiamo concentrare: commercio.
 
Gli obiettivi che qualunque azienda dovrebbe tornare a presidiare, soprattutto in tempi di crisi come quella che stiamo attraversando, sono:
 

  1. Offrire al consumatore il più elevato livello di servizio possibile
  2. Aumentare il più possibile le occasioni di acquisto del proprio prodotto per il consumatore e quindi la sua redditività
  3. Ottimizzare la gestione degli stock di prodotto e aumentare il fatturato globale dell’azienda

 
Se questi sono gli obiettivi è ovvio che dove, come, quando il consumatore compra non è più “il problema” e, anzi, offrirgli la possibilità di scegliere dove, come, quando comprare è sempre più un SERVIZIO IMPRESCINDIBILE.
 
Unire quindi l’online al fisico (e parlare di “Commerce” piuttosto che di “e-Commerce”) porta VANTAGGI PER TUTTI e concepire l’online diversamente (e quindi parlare solo di “e-Commerce” piuttosto che di “Commerce”) limita enormemente le sue potenzialità e inasprisce inutilmente i conflitti interni all’azienda (i cosiddetti “conflitti di canale”).
 
Se è vero, infatti, che attraverso l’online i brand possono oggi offrire ai consumatori una maggiore e diversa componente di servizio – dalle informazioni sulla disponibilità del prodotto in magazzino, alla consegna a domicilio; dalla possibilità di verifica dello stato dell’ordine, all’accesso a siti di aziende dislocate in tutto il mondo – è vero anche che difficilmente (o forse mai) si riuscirà a riproporre online l’esperienza sensoriale che appartiene al mondo del brick-and-mortar: l’interesse dello shopping, la possibilità di toccare, sentire, annusare ed assaggiare prodotti.
 
A dimostrazione del vantaggio (in termini di business) di offrire al consumatore una esperienza di acquisto unica ed uniforme a prescindere dal canale, arriva anche il supporto dei dati: secondo una recente ricerca di ContactLab ed Exane BNP Paribas effettuata su brand del lusso, l’utente “multicanale” (eh, lo so che ho detto che è un termine che sta morendo ma per capirci va ancora bene :D) vale di più, e non tanto perché spende mediamente di più ma perché, avendo più occasioni per acquistare, ha una frequenza di acquisto più elevata.
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L’entità di eventuali conflitti di canale, inoltre, dipende in larga misura dal ruolo che strategicamente si decide di assegnare all’online. Se quest’ultimo viene inserito “organicamente” all’interno della struttura distributiva dell’azienda, l’impatto negativo di eventuali conflitti risulta essere minimo (o comunque può essere gestito con pochi semplici interventi, vedi Click&Collect, Reserve&Collect, Showrooming, etc) e il digitale diventa potenziamento del fisico; se, al contrario, lo si pone come minaccia di sostituire altri canali, si potrebbero creare attriti con i partner commerciali.
 
Nota a margine per i pure player online: leggendo questo articolo starete pensando “Beh, ed io che non ho il fisico sono fregato allora???”. Assolutamente no! Anche il classico sito di commercio elettronico senza nessun negozio di proprietà collegato può avvalersi di nuove strategie che permettono di unire fisico e digitale (vedi pick-up-point o i lockers come quelli di Amazon o DHL) e, infatti, anche i big player dell’online (Amazon, Yoox & Co.) stanno cercando di costruire rete fisica a supporto delle loro strategie online.
 
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In conclusione, e per rispondere alla provocazione iniziale, l’e-Commerce c’è, sta crescendo a ritmi folli ed è ben lungi dall’aver espresso appieno il proprio potenziale! Ma bisogna iniziare a concepirlo in maniera più ampia per permettergli di esprimere al meglio tutto il suo potenziale e poter sfruttare la messa a sistema di tutta una serie di dati e informazioni che consentono ai brand di capire i consumatori come prima non è mai stato possibile.  
 
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